Crollo del Ponte Morandi: cosa ne pensa un ingegnere


Ad un mese dalla tragedia intervistiamo l’Ing. Aldo Teotini per capirne di più

Il 14 agosto sarà una data difficile da cancellare dalla memoria italiana, il crollo del Ponte Morandi è, infatti, uno dei disastri infrastruttrali più importanti degli ultimi anni, tale da coinvolgere non solo Autostrade per l’Italia ma anche il Ministero dei Trasporti a causa del bilancio finale di 43 morti.

Nonostante mezzi, tecniche e materiali ad oggi disponibili per la manutenzione, l’edilizia italiana si trova a scrivere una pagina triste della propria storia, ponendo domande sulla sicurezza delle sue strutture e dell’utenza.

Molte sono le parole spese e le ipotesi che girano sui social in questi giorni: una enorme confusione sulla quale volevamo fare luce. Di qui parte l’idea di intervistare un professionista che lavora nel settore dell’Ingegneria strutturale e che, si è recentemente esposto sui social con una diversa soluzione per il ponte di Genova: l’Ing. Aldo Teotini.

A distanza di un mese dalla caduta, ci riproponiamo, dunque di indagare su alcuni punti focali della vicenda quali la manutenzione delle strutture pubbliche e la sicurezza delle grandi opere infrastrutturali italiane.

Di seguito riportiamo le domande sottoposte all’Ing. Aldo Teotini e le sue risposte in merito all’accaduto nonchè il progetto da lui presentato come soluzione alternativa nella ricostruzione del ponte Morandi.

Quali cause portano al crollo di un ponte?

Il crollo di un ponte non è mai un fatto casuale e come qualsiasi altra struttura, fatta dalla mano dell’uomo, ha una vita che deve essere posta in relazione alla sua manutenzione.

Possiamo fare un parallelo con i nostri monumenti principali che hanno passato secoli di storia perché sono sempre stati seguiti, accuditi, manutenzionati e altri che non hanno avuto la stessa attenzione e che versano in condizioni precarie o crollano, come è successo recentemente a Roma. I ponti, al pari dei monumenti, sono manufatti dell’uomo e devono essere seguiti nel loro ciclo di vita per rimediare all’aggressione del tempo, ai deficit dei materiali, agli errori umani.

Il crollo del ponte di Genova sembra emblematico rispetto a questo tema. Per quello che possiamo apprendere dalle informazioni che arrivano dai media sul suo stato di conservazione e sui problemi che affliggevano la struttura da tempo (rilevati dal progettista stesso fin dal 1980), l’attenzione necessaria non è stata data. Purtroppo molte volte prevalgono ragioni economiche, o interessi diversi, che inducono a non prendere in seria considerazione segnali di criticità che ogni struttura dà con ampio termine di preavviso.

Ci sono per Lei, delle categorie di ponti che richiedono una maggiore manutenzione rispetto ad altri?

No, a mio avviso ogni struttura , piccola o grande deve avere la stessa attenzione e quindi la stessa considerazione nell’aspetto manutentivo. Il maggiore o minore impegno dipende da fattori di scala dell’opera e dalla tecnica con cui è stata costruita ed è quindi evidente che un elemento importante e la formazione degli addetti ai controlli.

Assumere , oggi, una schiera di giovani ingegneri, per il controllo di ponti , viadotti o cavalcavia è un spot pubblicitario perché chi è preposto al controllo deve avere esperienza e quindi deve essere formato e preparato adeguatamente. La manutenzione è un fattore fondamentale per preservare l’integrità delle strutture.

In quale percentuale, secondo Lei, possono essere ripartite le colpe del crollo avvenuto a Genova?

Da quello che si apprende dalla televisione, il Procuratore di Genova ha ipotizzato una serie di responsabilità di persone che, in vari ruoli, in vari contesti, possono avere avuto un ruolo importante nell’accadimento dei fatti. Non sta a me dire chi abbia la maggiore responsabilità.

Come molto spesso capita , fatti gravi, come il crollo di Genova, avvengono perché ognuno, nel suo ruolo, non fa un pezzetto del proprio dovere o, per ignoranza, non riesce a valutare la situazione che gli si presenta. Sarà la Magistratura e definire le responsabilità di ognuno.

Una cosa però vorrei dire, ed è rivolta ai colleghi ingegneri. Purtroppo la nostra categoria è sempre più inascoltata da chi ha in mano le leve economiche della gestione delle opere. E invece dovrebbe essere il contrario. Gli Ingegneri che, lo ricordo, “svolgono una funzione di tutela della salute pubblica” devono avere un ruolo primario nella gestione delle opere e devono esercitare il loro ruolo con capacità di giudizio e con indipendenza, senza influenze o conflitti di interesse. Molto spesso però questo non accade.

Lei ricostruirebbe il ponte allo stesso modo dell’ Ing. Morandi?

Essendo promotore di una soluzione alternativa al ponte dell’Ing. Morandi, soluzione per altro non ancora presa in considerazione, contraddirei me stesso se affermassi il contrario. Ogni struttura ha un suo ciclo di vita e come tale bisogna prendere atto che il ciclo di utilizzo di questa struttura era terminato.

Esiste una corrente di pensiero che in questi giorni spinge verso un ripristino della Pila 9, forse più per un aspetto di tempi e di economicità dell’intervento. Per altro la struttura versa veramente in cattivo stato e comunque le condizioni di utilizzo sono mutate e bisogna comprendere, e accettare, che anche le grandi opere possono essere sostituite da altre più aggiornate nella tecnica, nei materiali, nella progettazione e altrettanto grandi.

Sicurezza ed estetica: possono essere due facce della stessa medaglia o bisogna scendere a compromessi?

A mio avviso sono, in genere, due cose diverse. L’estetica è un aspetto filosofico della nostra vita. Suggerisce la “sensazione” che soggettivamente ognuno di noi prova nel guardare un’opera dell’uomo. L’estetica è legata al nostro giudizio di bello o brutto o le declinazioni intermedie. Ma non è detto che un’opera sicura non possa essere bella o viceversa.

Se la sicurezza viene coniugata nell’assecondare una idea creativa, essendo più un aspetto tecnico che artistico, possiamo ottenere un opera esteticamente comprensibile e allo stesso tempo sicura.

Bisogna imparare che la sicurezza ha un costo esattamente importante come quello della esecuzione di un opera esteticamente piacevole e che ambedue sono rilevanti per la fruizione di un manufatto. La sicurezza viene invece percepita come un costo senza ristoro, ma spesso il tempo ci insegna il contrario con costi umani molto alti.

Per quanto riguarda i ponti strallati, questi a mio avviso coniugano in maniera soddisfacente la sicurezza con il valore estetico. Il ponte strallato è sicuramente un ponte bello ma è anche sicuro in quanto tale aspetto è insito nella tecnica costruttiva.

La paura diffusa per i ponti strallati da parte dei cittadini è in qualche modo giustificata?

Le tecniche di esecuzione dei ponti strallati si è evoluta nel tempo e nel mondo si hanno esempi convincenti di questa tipologia costruttiva. In Italia un esempio è il Viadotto Favazzina sull’autostrada Salerno Reggio Calabria del 2009 che ha concorso all’ammodernamento di questa arteria.

In Cina, paese emergente, si stanno realizzando numerosi ponti di questo tipo e anche in mare aperto ovvero in ambienti molto aggressivi per il materiali che vengono utilizzati. Nella mia città ce n’è uno costruito nel 1980 che tutt’oggi svolge in modo egregio il suo compito di attraversare l’Arno. Ritengo quindi che non si debba temere niente nell’attraversare un ponte strallato; quello che bisogna temere, ma è una condizione di educazione civile, è che qualcuno, a cui è affidata la nostra sicurezza, non faccia completamente il proprio dovere nei confronti della collettività.

Se dovesse riprogettare il ponte, oggi, come sarebbe?

Ho già accennato che sono promotore di un soluzione di ponte diversa da quella oggi presa in considerazione e regalata dall’Arch. Renzo Piano alla città di Genova. La struttura è quella di un ponte strallato portato da due forcelle, in cemento armato, alte circa 100 m dal piano campagna, che con una campata unica (circa 410 m) e le campate laterali può superare l’intera valle alla quota del vecchio ponte.

La forma e la disposizione degli stralli permetterebbero di avere quattro corsie centrali con relative banchine di emergenza laterali. Al di là degli stralli, da ambo le parti, può essere prevista una ulteriore corsia per i mezzi pubblici o dedicata alla manutenzione del ponte. Gli stralli porterebbero delle travi a cassone in acciaio/c.a. per l’impalcato stradale. Le forcelle potranno essere edificate in zone non interferenti con le attività industriali della valle e quindi non creerebbero nuova occupazione di suolo.

Ma la soluzione ha anche una motivazione di riconoscimento verso il genio progettuale che ha avuto l’Ing. Riccardo Morandi il quale, oggi sembriamo dimenticarcene, è stato un precursore nell’ambito dei ponti strallati. Edificare un ponte diverso a me sembrerebbe disconoscere tali capacità progettuale.

L’Ing. Aldo Teotini chiude l’intervista con una riflessione sulla nostra identità di Paese:

Bisognerebbe ricordarsi che, molte volte, i Simboli sono importanti per riconoscersi come comunità o come Nazione, ma noi Italiani questo ce lo dimentichiamo spesso.

Di seguito riportiamo alcune immagini relative alla soluzione progettuale proposta dall’Ing. Aldo Teotini
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